Messina ha, da sempre, una grossa responsabilità: dare il benvenuto a chi arriva in Sicilia. Accogliere i viaggiatori che oltrepassano lo Stretto non è affare da poco: ne va del primo impatto con un’Isola che ha tanto da dare, ma anche tanto da togliere. Dipende da come ci si approccia e da quello che si viene a fare.
Fortunatamente, se chi sbarca nella Trinacria arriva per suonare, fa parte della scena indipendente e ha la prima data al Retronouveau, il più è fatto. Ah, solo un ultimo, importantissimo, dettaglio: mai mangiare un’arancina prima di aver toccato la terraferma.
Come dicevamo, una data nello storico locale messinese è tra le cose migliori che un artista indipendente possa aspettarsi da un tour invernale in Sicilia. Nato dagli sviluppi di una rassegna – che si chiamava Retronouveau, appunto, e si teneva allo Zeronovanta –, assieme a “I Candelai” di Palermo e al “Ma” di Catania forma la triade dei più importanti live club siculi.
Abbiamo fatto qualche domanda a Davide Patania, messinese, dj e socio del Retronouveau. Più che un’intervista, ne è venuto fuori un quadro clinico: quello di un’Isola che soffre anche a livello musicale, ma che per tornare in forma non ha bisogno di particolari medicine: servono solo energie positive e un po’ di movimento. E meno arancine nella dieta.
Prima ancora di parlare del locale, ci racconti che aria si respira a Messina?
Si respira poca aria: siamo praticamente l’unico live club. Se negli ultimi cinque-sei anni fossero venuti fuori altri posti, la gente avrebbe iniziato a pensare che la musica dal vivo non è solo una moda. Avrebbe iniziato a coltivare le proprie abitudini tenendo presenti anche i concerti nella propria quotidianità. Invece sembra tutto così desolante…
Quando e come nasce il Retronouveau?
Era il 2012 e venivo da un’esperienza lunghissima come direttore artistico allo Zeronovanta, un luogo che racchiudeva in sé inferno e paradiso: al piano di sopra gli “alto-borghesi”, mentre giù si suonava davanti a un pubblico più underground. Decido, quindi, di mettermi in proprio fondando il Retronouveau, che prende il nome dalla vecchia rassegna. Forse avrei dovuto farlo prima: quello che va dai 25 ai 35 anni è il periodo ideale per i grandi cambiamenti.
Quali sono i live memorabili?
I concerti che mi sono rimasti più impressi coincidono sicuramente con quelli in cui si rischiava di più in termini di budget. Sono quelli che incontravano il mio gusto ma che, al tempo stesso, hanno avuto una grande risposta dal pubblico. Per fare solo alcuni nomi: Nada, Il Teatro degli Orrori, Willie Peyote quest’anno.
A proposito di questa stagione, come sta andando?
Si sta verificando un fenomeno strano: i cachet dei “grandi nomi” del momento sono schizzati alle stelle, e di conseguenza abbiamo dovuto rimodulare la rassegna. È strano, riflettendoci, ritrovarsi a pagare grandi cachet per artisti che all’attivo hanno al massimo un disco. Penso che si stia facendo veramente poco per aiutare i locali a sostenere le spese di un live: le agenzie di booking dovrebbero passarsi una mano sulla coscienza e aiutare il Sud Italia.
Il problema della Sicilia è l’emigrazione: il 50-60% dei giovani, dopo il triennio, scappa; la nostra comunità di riferimento è praticamente scomparsa. La risposta potrebbe essere programmare solo otto-nove live in totale durante la stagione, ma a quel punto conviene fare un festival.
Quindi, secondo te, qual è la soluzione per rendere i live economicamente più sostenibili?
Ridurre i costi: le agenzie devono concedere più margine sulla plusvalenza dei concerti. In questo modo noi ne compreremmo di più e saremmo anche più felici. Invece di programmare soltanto tre tappe in un tour siciliano, se ne dovrebbero prevedere almeno cinque; o addirittura pensare a un tour dedicato di una settimana.
Gli operatori siciliani, a questo punto, potrebbero fare cartello con almeno quattro sale alle quattro latitudini.
Voi a che punto siete della rassegna?
Finiremo il 19 maggio prossimo, con una sub-rassegna di musica elettronica che si svolgerà in terrazza: si chiama “Denshi RAW” e ci sta dando molte soddisfazioni per il bell’ambiente che si viene a creare durante le serate.
Invece, tra i prossimi live ci sono: Andrea Laszlo De Simone il 31 marzo; Lorenzo Kruger il 2 aprile; Ghemon il 6 aprile.
Ci parli del vostro staff e di come si svolge la settimana al Retronouveau?
Noi siamo tre soci, più le varie maestranze. Per quanto riguarda il programma, invece, il mercoledì organizziamo la festa erasmus, il venerdì abbiamo un appuntamento dancing con uno stile un po’ più ricercato e il sabato facciamo i concerti.
Come mai di sabato?
È una scelta che mi porto dietro dall’altro locale. Poi se si tratta di live più hip hop li fissiamo di venerdì.
Che musica si fa al Retronouveau?
Siamo di indole new wave, ma facciamo tutti i generi. Ecco, magari il metal è un po’ più difficile che passi da qui!
Che pubblico c’è al Retronouveau?
Beh, innanzitutto la gente che viene il mercoledì è completamente diversa da quella che segue i concerti di sabato. A parte questa spaccatura, c’è uno strato sociale variegato; ma devo dire che è un pubblico abbastanza interessato ai live, nonostante oggi la soglia di attenzione durante i concerti sia minima: l’avvento degli smartphone è stato letale.
Quanto costano i biglietti e che affluenza si registra?
Il prezzo dei biglietti va dai cinque ai 15 euro; in casi eccezionali 17. L’affluenza dipende ovviamente dal calibro dell’artista: per i più famosi registriamo 300 ingressi, per quelli meno noti l’affluenza si attesta tra le 60 e le 180 persone.
Che ne pensi di KeepOn Live?
Lo conosco poco e in Sicilia non mi sembra così radicato. L’idea di mappare i locali e darsi una mano a vicenda mi piace molto, ma credo che ci si debba sforzare di garantire una diffusione e una presenza ancora più capillari. Inoltre, se si fa un meeting all’anno e io non posso partecipare perché lavoro, mi perdo gran parte delle attività. E ancora, chi vive al nord non sa cosa succede giù, e viceversa: siamo troppo distanti, non c’è comunicazione, non ci sono agenti che fanno da raccordo.
Penso che una bella iniziativa, da parte di KeepOn Live, potrebbe essere tutelare i live club aiutandoli nella mediazione con chi comanda nel panorama musicale, ossia booking, etichette e distribuzione. Io dipendo da questi ultimi: se, per un assurdo motivo, inizio a stare sul cazzo a tre o quattro di loro, non mi danno più artisti e posso chiudere.
Perché è importante continuare a fare musica live, nonostante sia complesso?
Fare musica è sinonimo di veicolare cultura. Non bisogna mai arrendersi, sebbene il livello del panorama attuale sia appena sufficiente; altrimenti la bassezza e il vuoto prenderanno il sopravvento: se non offri stimoli, sei compartecipe della situazione di crisi in cui ci troviamo.
Secondo me aprire un cinema, una sala concerti o una libreria nel posto in cui si vive dovrebbe essere considerato un obbligo morale. A proposito, dopo il Retronouveau ho aperto “Colapesce”, libreria multimediale dove organizzo anche dei piccoli live. La chiave è la perseveranza.